
“Piangere”. La prima fatica letteraria di Don Giuseppe Pani
Alla presentazione è intervenuto anche l’Arcivescovo di Oristano, Monsignor Carboni: “Nella Chiesa ci sono varie vocazioni, compresa quella del sacerdote docente, teologo e scrittore. Vocazione fondamentale nel contesto ecclesiale”, ha esordito.
Sabrina Sanna ha chiesto a don Pani: “Le lacrime rappresentano la vita? Oppure sono esclusivamente la manifestazione della nostra precarietà?”.
Don Pani ha risposto che la sua scrittura si è ispirata al movimento dell’acqua: l’osservazione del mare, dei fiumi, della pioggia ha impregnato ogni riga del testo. Ha poi aggiunto: “Con il pianto ci abbandoniamo alla vita. Quando pensiamo che non ci sia più nessuno, che non ci sia più niente, proprio in quel momento scoppiamo a piangere. Un abbandono che non è resa. Dobbiamo lasciare che il pianto ci riconduca a noi stessi, alla nostra umanità. Meglio fidarci della traccia delle lacrime. Il linguaggio degli occhi non è la vista ma la lacrima. Quando piangiamo significa che siamo vivi”.
“Un libro sul pianto è certamente un contributo all’antropologia, alla teologia, alla psicologia, alla sociologia, alla filosofia della vita, ma bisogna anche riconoscere, con estrema umiltà, che è come la punta di un iceberg che rivela ben poco della complessa, vulnerabile, contraddittoria e, al tempo stesso bella, affascinante e intrigante condizione umana”, evidenzia il coautore Salvatore Cipressa.
“Nella Sacra Scrittura, le lacrime non sono mai cristallizzate – scrive ancora don Pani – non abitano in un’acqua stagnante priva di corrente; sono, invece, “gocce in movimento” che scorrono quando siamo sopraffatti dal dolore o dalla gioia: irrigano i nostri volti muti o urlanti, inondano i nostri momenti di gioia, tracimano dalle guance evocando in noi, attraverso il loro flusso, sempre l’oltre”. Dalla presentazione del libro di don Pani è emerso che piangere è un’esperienza che attraversa e accompagna l’esistenza di ogni persona.
Il libro “Piangere” fa parte della collana “I riti del vivere”. La collana che, intrecciando antropologia, teologia e liturgia, fotografa – attraverso un verbo – i riti “quotidiani” della nostra vita.